La mototerapia fa sognare i bambini ricoverati e anche quelli disabili (2024)

Il campione di freestyle motocross Vanni Oddera porta nei reparti pediatrici una terapia complementare che regala sorrisi e fa vivere momenti di libertà ai bimbi ricoverati e ai disabili

Seduti in sella a un moto da cross, con le braccia tese sul manubrio, e aperte come due ali grandi ogni volta che la paura se ne va, gli occhi e la bocca spalancati e il vento in faccia anche quando non c’è. Sì, perché in una corsia di ospedale ci sono i neon al posto del cielo, ma quando i piccoli ricoverati salgono sulla moto elettrica guidata da Vanni Oddera si dimenticano della malattia e della realtà intorno a loro. Vanni è un pilota d’eccezione: campione di freestyle motocross, abituato a fare acrobazie a oltre dieci metri sopra la terra, una decina di anni fa si è messo in testa di portare una motocicletta vera all’interno dei reparti pediatrici e il risultato, oggi, è una realtà più bella del sogno. «Quando "sfrecciamo" lungo i corridoi, con i genitori, i medici e gli infermieri lì a fare il tifo affacciati alle porte delle loro stanze, i bambini tornano a essere bambini, col sorriso e la sorpresa stampati sul viso. Per me la moto è un oggetto di libertà e ho deciso di regalare la mia passione a chi nella vita è stato meno fortunato di me. Tutti, in fin dei conti, abbiamo qualcosa di buono da regalare agli altri».

Quella che ha inventato Vanni, 44 anni, origini liguri (è nato a Pontinvrea, in provincia di Savona, dove vive ancora oggi) e un corpo pieno di tatuaggi, si chiama mototerapia: «È una terapia complementare che aiuta i bambini a sentirsi prima di tutto bambini, e solo dopo pazienti su un letto di ospedale». L’avventura della mototerapia ha avuto inizio nel 2014 tra le mura del reparto di oncoematologia dell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova. Da lì la motocross elettrica è approdata nelle corsie dell’unità di trapianti, neuropsichiatria, nefrologia e nel day hospital. Vanni raggiunge in moto anche le case vicino alla struttura ospedaliera che ospitano, tra un ricovero e l’altro, i bambini e i ragazzi malati con le loro famiglie.

Ma l’ospedale Gaslini non è l’unico ad avere scommesso sul progetto. Vanni grazie a un team di oltre 40 volontari, tra cui muratori, fornai, commercialisti e altri quattro piloti come lui, è riuscito a diffondere la mototerapia in tante altre pediatrie italiane: da quella dell’ospedale San Paolo di Savona a quella degli ospedali Regina Margherita di Torino, San Matteo di Pavia, Papa Giovanni XXIII di Bergamo, San Raffaele di Milano, Sant’Orsola di Bologna, Burlo Garofalo di Trieste, Santa Maria delle Croci di Ravenna, Salesi di Ancona, Gemelli di Roma e dell’ospedale di San Marino. Con la collaborazione di altri piloti freestyle amici di Vanni l’iniziativa è stata esportata anche all’estero: «In tre ospedali a Londra, a Mosca, Città del Messico e Madrid. A settembre andrò a Barcellona per formare altri volontari», spiega Vanni.

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Uno studio pubblicato nel 2020 sullo European journal of integrative medicine e condotto dai ricercatori dell’ospedale infantile Regina Margherita di Torino, su un campione di 50 bambini con leucemia e un’età media di 9 anni, 50 genitori e 25 operatori sanitari, ha evidenziato i benefici della motocross in corsia, in termini di riduzione dei livelli di percezione del dolore dei pazienti e dei livelli di stress dei genitori, così come di medici e infermieri. «Il fatto che l’ospedale si trasformi in una pista da motociclismo e i pazienti girino su una moto vera è un’esperienza che per la sua originalità aumenta l’effetto catartico che produce e che ha il valore di liberare il bambino dalla sofferenza - commenta Carlo Dufour, direttore del dipartimento di oncoematologia dell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova -. Quando arriva Vanni a bordo della sua moto è tutta una festa. È importante che il bambino viva la sensazione che la degenza sia solo una parentesi. Abbiamo intenzione di sviluppare anche noi una ricerca sull’impatto che la mototerapia può avere sulla qualità di vita e sull’accettazione del percorso di cura dei bambini e ragazzi ricoverati».

Gli appuntamenti con la mototerapia nelle pediatrie si svolgono mediamente ogni quindici giorni (anche se in alcuni ospedali la frequenza è ancora sporadica). Vanni e i suoi aiutanti restano in ospedale per 2-3 ore o per l’intera giornata, dipende. «Io ho la tuta da pilota, chi carica il paziente sulla moto indossa i panni di un supereroe o una principessa. Se il bambino è attaccato alla flebo non c’è problema, si trasporta il carrellino con sacche e tubicini al seguito della moto». Nessuno escluso, per davvero: anche i bambini ricoverati più piccoli, di pochi mesi, fanno un giro in moto in braccio al pilota.

La motocross elettrica è, inoltre, un servizio on demand. «Spesso vengo chiamato dalla caposala perché il bambino, magari dopo il trapianto, ha il desiderio di salire sulla moto per recuperare il rapporto con la normalità» racconta Vanni. A cui una volta un papà ha detto: «Avete portato la luce in una stanza buia e questa luce rimane anche quando ve ne andate via«. Ma un’altra volta un paziente dodicenne si è messo a piangere per la tristezza: «Non voleva che ci salutassimo e così sono rimasto a dormire di fianco a lui per tutta la notte» confida Vanni. Nel 2022 è stata presentata alla commissione Affari sociali della Camera una proposta di legge per il riconoscimento e la promozione della mototerapia quale terapia di supporto per rendere più sopportabile l’ospedalizzazione e per accrescere il benessere psico-fisico delle persone con disabilità. A febbraio è stata approvata e ora è all’esame della decima commissione permanente del Senato.

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Fu un episodio del 2009, a Mosca, dopo aver conquistato il podio in una gara internazionale, che spinse Vanni a voler condividere la sua passione per la motocross con i più fragili. «Alla sera sarei dovuto andare a festeggiare in un club. Quando sono salito sul taxi per raggiungere il posto mi sono accorto subito di un forte odore di pipì e ho visto che l’autista era senza gambe e senza catetere e se l’era fatta addosso - racconta Vanni -. Davanti a quella scena mi sono reso conto che nella vita non contano soltanto il talento e la costanza, come avevo sempre pensato, ci vuole anche la fortuna dalla tua parte. Il mio umore era cambiato, rinunciai alla festa e chiesi al tassista di riportarmi in hotel.

«Quella notte iniziai a pensare come avrei potuto migliorare il mondo intorno a me e decisi che avrei invitato le associazioni locali di disabili a partecipare ai miei allenamenti nella pista da motocross di casa mia per regalare loro un’esperienza nuova». E così ha fatto. «Ma non mi sarei mai immaginato - confessa - che un giorno un bimbo in sedia a rotelle mi chiedesse di portalo in moto. Io quello non lo avevo contemplato ma ci provai e fu pazzesco. Dopo alcuni metri mi disse "che bello sentire il vento in faccia anche quando non c’è". Questa frase è stata un faro per la mia missione».

Il mondo di Vanni continua a essere fatto di gare e esibizioni, oltre che di volontariato con i disabili e i pazienti pediatrici. Avere successo in uno sport insidioso come la freestyle motocross (si è rotto 31 ossa complessivamente a causa delle cadute) ha voluto dire per lui soprattutto questo: «Il bisogno di andare vicino al pericolo per sentirmi vivo». La stessa sensazione di pericolo che provano anche i bambini colpiti da gravi patologie. Ma è nell’incontro tra lui e loro che il senso del rischio fa la rivoluzione e sfiora la normalità, così piena, intensa e avvolgente, che rappresenta il brivido più forte in assoluto.

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31 agosto 2024

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